Vi risparmio tutta la parte prettamente filosociologica sulla suddivisione delle epoche storiche, ma non posso proprio esimermi da riflettere un pò anche io sulla ri-nomadizzazione della razza umana.
Intanto continuo a gongolarmi per la scoperta di Vilém Flusser e del suo libro, La Cultura dei Media, che ho tra le mani grazie ad un esame che neanche sapevo di dover dare.
E ciò mi riporta al pensiero formulato poco tempo fa, per cui finalmente ho capito che davvero non tutto il male viene per nuocere ma, soprattutto, che le mie spalle – pur essendo di dimensioni normali – possono sopportare molto più di quando si potrebbe pensare.
Detto questo, provo a fare un breve excursus sulle differenze che distinguono nomadi e sedentari, sicura di appartenere con la mente, il corpo e il cuore, al primo gruppo (il che viene ampiamente documentato in questo vecchio post, tanto per ricordare a me stessa che a volte – con mio immenso stupore – riesco ad essere coerente).
NOMADI.
I nomadi viaggiano e perciò possono essere localizzati solo facendo riferimento al continuum spazio-temporale (non basta dire dove ma bisogna anche specificare l’ora e il giorno in cui li avete visti).
Sono homines viatores, ma anche loro devono occasionalmente fermarsi e fare tappa perchè i loro corpi sono pesanti.
Sono storpi (qui inteso come macchine imperfette obbligate a rallentare il loro percorso) e non possono sempre correre come il vento. Il vento è per il nomade ciò che la terra è per il sedentario.
Il nomade è colui che viaggia [der Fahrende] e fa esperienza [er-fährt] e va incontro al pericolo [Gefahr].
SEDENTARI.
I sedentari stanno seduti, posseggono e non fanno esperienza di nulla.
Vivono all’interno di un villaggio che gli assicura la cosiddetta vita civilizzata.
Essi siedono [der Sitzende] e abitano [wohnt] nell’abitudine [Gewohnheit].
Al massimo pendolano per non correre il rischio di diventare idioti (senza conoscenze sul mondo).
Flusser conclude sostenendo che attualmente il vento si è levato anche nei corpi dei nomadi, sopraffatti dalla sua forza bruta che entra dai buchi delle case (buchi strutturali dovuti ai cavi che entrano ed escono).
Ebbene, più leggo più mi convinco di essere nata nomade.
E di non voler perdere la fede nel vento.
18 giugno, 2007 alle 10:53 am |
Questo squisito excursus mi ha dato modo di ripensare la mia identità di sarda, che credevo dispersa in tutti i miei viaggi: in realtà il mio continuo viaggiare è la mia radice e il legame con la mia terra, la Terra del Vento.
Grazie, mi fai sempre allenare il cervello su sentieri nascosti.
18 giugno, 2007 alle 11:34 am |
e questo mi riempie realmente di gioia!